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Ethiopia, la terra di Punt

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Ethiopia: la terra di Punt

testo di Nella De Angeli

Che l'Etiopia fosse conosciuta fin dall'antichità non c'è dubbio. Che la sua costa fosse situata su rotte commerciali importanti è dimostrato dagli scambi tra quella che gli Egiziani, al tempo dei Faraoni, chiamavano "Terra di Punt" e, a volte, "Terra di Dio" e l'Egitto stesso.
Con tutta probabilità molte delle materie prime commerciate provenivano dalle zone interne della Terra di Punt, più tardi identificate col nome di Etiopia e Corno d'Africa, e raggiungevano, attraverso strade commerciali, la costa da dove partivano per l'Egitto e altre località.
Iscrizioni e pitture egiziane ci chiariscono meglio quali fossero i beni esportati dall'Etiopia: certamente oro, avorio, mirra, alberi di mirra e penne di struzzo in cambio di accette, pugnali e collane di cui le popolazioni Afar, i fieri abitanti del deserto dancalo, facevano grande richiesta.
Mercanti e viaggiatori, egizi o greci, cominciarono a percorrere gli altopiani e a incontrare e descrivere le popolazioni che abitavano quei luoghi, genti camitiche di origine antichissima conosciute col nome di Agaw. E' probabile che ad esse si siano unite, nel corso dei secoli, genti semitiche provenienti dalla vicina Arabia, gli Abasciat, da cui deriverà il termine abissinia, e anche popoli sudanesi e tribù arabiche. Questo incontro tra culture è stato certamente alla base della vicenda storica grandiosa nella storia dell'Etiopia.
Ma ci sarebbe dell'altro, molto altro ancora, da dire prima di parlare di quella che i grandi tour operator definiscono la "Rotta Storica dell'Etiopia", un territorio che abbiamo trovato essere denso di spiritualismo, magia e leggenda allo stesso tempo.
Vediamo dunque di semplificare il complesso argomento che riguarda la cristianità in Etiopia anche al fine di allontanare superficiali errori terminologici e prepararci alla visita della mitica città di Lalibela.
Nella Bibbia, nell'Antico e nel Nuovo Testamento, l'Etiopia è menzionata svariate volte col nome di "Terra di Cush", in accordo con le tradizioni bibliche dell'antico Israele, con cui l'Etiopia avrà una continua relazione. Terra localizzata lungo il corso del fiume Nilo, come si legge nella Genesi. Anche nel Septuagint, la traduzione greca delle Sacre Scritture israelitiche ad Alessandria, ci fornisce la stessa localizzazione dell'Etiopia.
Ma oltre alle tradizioni bibliche, molti storici conobbero l'Etiopia e ne descrissero la sua posizione geografica. Omero, poeta greco vissuto nell'VIII secolo a. C. seppe di questa terra e delle sue genti e scrisse che "L'Etiopia è la terra delle facce bruciate dal sole". E, come lui, ma più tardi, lo storico greco Erodoto la ricorda nelle sue opere.
Dal punto di vista religioso, il libro La Gloria dei Re, il "Kebre Negest" redatto nel primo ventennio del 1300, ci dice che in Etiopia si diffuse il giudaismo e racconta due eventi importanti per comprendere la storia religiosa di questa parte del Corno d'Africa: il primo è la nascita di Menelik, Figlio di Salomone, Re di Israele, e di Saba, regina dell'Etiopia; l'altro riguarda l'Arca dell'Alleanza, nella quale erano custodite le Tavole della Legge che Mosè ricevette da Dio sul monte Sinai, e che fu trafugata dallo stesso Menelik dal Tempio di Gerusalemme. Obiettivo di Menelik era portare l'Arca ad Axum, per farne la "seconda Sion". La relazione tra Etiopia e Israele, come detto, sarebbe da cercarsi fin dal tempo di Mosè quando si diffuse nella terra di Cush la fede verso Dio, il Dio di Abramo.
Non appena il cristianesimo gettò le sue radici all'interno delle comunità, attraverso l'evangelizzazione di Filippo, come scrive San Luca, la cristianizzazione si diffuse su un tessuto sociale e religioso in cui già era presente l'osservanza della legge di Mosé. Il paganesimo e il Giudaismo, persero la loro popolarità e importanza.
A quel tempo, l'arcivescovo di Cesarea, Eusebio, il patriarca di Costantinopoli o quello di Alessandria e molti storici si stupivano della libertà di cui il Cristianesimo godeva in Etiopia, viste le lotte che, altrove, gli Apostoli sostenevano col potere imperiale romano.
E' il Re etiopico Ezana, vissuto nel IV secolo, a porsi come figura preponderante dell'organizzazione della Chiesa. Fece del cristianesimo la religione di stato. Instaurò contatti con Alessandria quando mandò Frumenzio dal patriarca Atanasio perché questi lo nominasse vescovo del suo regno. Ezana cambiò il suo nome in Abreha e fece coniare, primo sovrano nel mondo, sulle monete axumite il segno della croce che andava a soppiantare i segni pagani della mezzaluna e del disco solare.
Axum intanto cresceva e la sua fama viaggiava sulle rotte commerciali tra l'Africa e l'Oriente. Le genti dell'altopiano etiopico furono evangelizzate da lì a due secoli, si sviluppò un grande movimento monastico che condizionò tutta la vita, non solo quella religiosa, dell'altopiano.
La cristianizzazione del Regno axumita è stato il risultato dei contatti tra l'interland e le regioni costiere. L'arrivo di missionari siriani, chiamati i Nove Santi, che fondarono i primi monasteri in Etiopia intorno al V secolo, ebbe un notevole impatto attraverso la regione. Questi uomini santi influenzarono tutto il nord dell'Etiopia e furono responsabili dell'introduzione del sistema monastico.
Fu nel 451, in occasione del Concilio di Calcedonia, che la chiesa d'Etiopia si staccò da quella di Roma, insieme alla chiesa egiziana, e divenne chiesa non calcedonese, come la siriana e l'armena. Nel Concilio c'era chi propugnava la presenza in Dio di due nature, quella umana e divina, di contro ai monofisiti che affermavano essere la natura umana di Cristo stata assorbita da quella divina e solo quest'ultima vi sussisteva.
Questa precisazione dà adito a un'altra considerazione terminologica relativa al cristianesimo copto etiopico. "Copti" è un termine con cui i viaggiatori designavano i cristiani d'Etiopia, ma ha la sua derivazione dall'utilizzo che di "copto" ne facevano gli Arabi. Questi, dopo la conquista dell'Egitto, utilizzarono il termine "copto" per indicare gli egiziani. Il copto era la lingua parlata in Egitto agli inizi dell'era cristiana. Utilizzava una scrittura che univa caratteri greci con lettere demotiche. Dopo l'invasione araba il copto si ridusse progressivamente a lingua utilizzata nelle liturgie.
E sebbene la liturgia etiopica si possa essere sviluppata da quella della chiesa copta, essa ha introdotto delle forme del tutto peculiari. Si pensi, ad esempio alle danze, ai canti, alle musiche che accompagnano le messe. Queste forme sono tipiche dell'animo spirituale dell'Etiopia. Dalla tradizione copta, gli etiopici hanno preso in eredità le croci, disegnate in centinaia di forme e nelle quali quasi mai compare il corpo di Cristo, poiché nella spiritualità orientale si dà più importanza alla divinità che non all'umanità del Cristo.
Lasciando da parte le questioni religiose, torniamo a parlare di Axum. La decadenza di questa città ha inizio, nel VII secolo, con l'invasione dei musulmani e le lotte tra califfi arabi e principi axumiti. Non è ancora l'anno 1000 che la città delle stele venne distrutta da una mitica regina ebraica, conosciuta come Esato, la devastatrice.
Unico faro in questo declino sarà la nascita di Lalibela, ultimo della dinastia degli Zagwe, cusciti discendenti dagli antichi abitanti dell'altopiano, un sovrano che non poté, a differenza degli altri, precedenti e successivi, vantare la discendenza da Salomone e Saba, non avendo radici Axumite, né israelitiche. Col suo nome è designata l'antica Roha, nella regione dei monti del Lasta, a metà strada tra il Tigray e lo Shoa, a sud di Axum, ai piedi del massiccio Abuna Yosef.
La leggenda narra che Lalibela fosse stato circondato, alcuni giorni dopo la sua nascita, da uno sciame di api. Secondo un'antica credenza etiope gli animali preannunciano l'avvento di personaggi importanti. Fu per questa ragione che la madre del bambino lo chiamò Lalibela, nome che significa "le api riconoscono la sua sovranità".
Lalibela, la città delle chiese monolitiche rupestri, l'ottava meraviglia del mondo.
Là, a 2630 metri sul livello del mare, un insieme di chiese scavate nella roccia basaltica, si presentano come sculture cave all'interno della montagna. Là dove ogni giorno, senza interruzione, si sviluppano un insieme di liturgie, riti e devozioni, processioni, forme di preghiera individuale e spontanea, feste e rituali.
Tunnel, passaggi sotterranei, gallerie fanno di Lalibela un luogo misterioso. Una Gerusalemme nel cuore dell'Africa creata da ignoti architetti e artisti che hanno traforato la montagna cambiando la geografia di un'intera regione. Ebbe ragione il prete portoghese, Francisco Alvarez, che visitò Lalibela nel 1500, a scrivere "Giuro su Dio che tutto ciò che ho scritto, corrisponde a verità". Scrisse molto meno di quanto avrebbe potuto, ma temeva di non essere creduto.
Si procede lungo trincee che ci allontanano dalla vita quotidiana, si superano gradini, e dislivelli, si attraversano portici, si oltrepassano vasche per le immersioni rituali, ci si avvicina sempre più al sacro, si percorrono gallerie buie, finché stretti cunicoli ci riportano alla luce del sole. Poca importanza in questo nostro peregrinare, sapere con certezza se Lalibela sia nata da un progetto architettonico elaborato da maestranze straniere, su modelli egizi o siriani, o se la sua paternità sia totalmente africana. Il misticismo qui è molto forte.
Seguiti dagli sguardi di monaci in preghiera, non possiamo non stupirci della sacralità di questo luogo così diverso, così poco africano, così poco etiope se si pensa ai popoli dei lontani deserti del sud.
C'è tempo per riflettere sul perché e sul come nel cuore dell'altopiano etiopico si sia potuta sviluppare una civiltà tanto grandiosa. Sicuramente la necessità di costruire nuovi sepolcri, nuove Gerusalemme per non costringere i cristiani a muoversi in pellegrinaggio è stato forte anche in Africa. E questo, c'è da dire, fa parte di una ben più complessa esigenza di preghiera che non è ascrivibile alla sola cristianità. Si consideri, poi, che un nucleo di pellegrini etiopici era presente a Gerusalemme, nell'area del Santo Sepolcro, fin dall'inizio della cristianizzazione e la loro presenza non venne mai meno.
Non si può negare dunque che il complesso di Lalibela si colleghi ai luoghi sacri presenti in Terrasanta, ma esso ha una sua propria specificità legata al contesto religioso, politico e ambientale in cui si inserisce. C'è inoltre da tenere in considerazione che la costruzione di Lalibela, come simulacrum dei Luoghi Santi, va inserita in un periodo storico particolare durante il quale si assiste alla nascita di fondazioni monastiche e religiose, allo sviluppo del monachesimo, alla minaccia della diffusione dell'islamismo nel Mediterraneo, nell'Oceano Indiano e nello stesso Corno d'Africa. Lo stesso re Lalibela visse da eremita, a seguito delle persecuzioni dei sicari del fratello che voleva il potere, e fu riconosciuto re con l'appoggio del clero copto solo dopo il suo ritorno da Gerusalemme, lì dove Dio lo aveva accompagnato per trarre ispirazione. La sua legittimazione come sovrano era basata esclusivamente sul forte legame politico instaurato con la chiesa cristiana ortodossa.
Detto questo rimane lo stupore, un autentico stupefacente stupore nell'ammirare queste chiese nascoste nella e dalla roccia di tufo vulcanico, collegate tra loro da una miriade di corridoi, grotte e cunicoli. Montagne svuotate della roccia per lasciare il posto a uno spiritualismo profondo che per i cristiani Etiopici deriva direttamente dagli angeli costruttori di questa opera meravigliosa.
La visita a Lalibela non può essere veloce. Pretendete di restare più di un giorno. Frequentate le chiese fin dalla mattina, quando i fedeli si riuniscono in preghiera e anche nelle altre ore del giorno. Ogni volta sarà un'esperienza singolare. Non abbiate fretta di lasciare questo piccolo villaggio abitato da genti di montagna, contadini abituati all'asprezza della terra per soddisfare altre curiosità: i castelli di Gondar, le sorgenti del Nilo Azzurro, le cascate di Tisisat, il mercato di Bahr Dar e gli altri splendidi luoghi del Nord dell'Etiopia.
Viaggiare significa cambiare il ritmo della propria vita, un ritmo dettato dai paesaggi, dalle genti, dalla cultura di un luogo. Se così non fosse, basterebbe leggere le pagine scritte nei libri.(n.d.a.)


Vietata la riproduzione, anche parziale, del testo
Articolo pubblicato sulla rivista AFRO, dall'Africa sull'Africa


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