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Africa: Essere bambini

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Essere Bambini....

testo di Nella De Angeli


Da più di due lustri mi occupo dei diritti dei minori. Non sto a raccontare come è nato questo interesse perché assolutamente irrilevante. In questo tempo ho raccolto molta documentazione sui diritti negati ai bambini, a cui si aggiunge un cospicuo archivio di materiale iconografico che li ritrae in molti paesi del mondo, impegnati in attività che dovrebbero appartenere alla sfera adulta. Unendo dati e immagini ho assemblato un volume fotografico che ripercorre uno a uno gli articoli della Convenzione Internazionale dei Diritti dei Bambini, approvata a New York dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 - a pensarci bene sono passati 20 anni tondi.
Perché questa premessa?
Per una ragione molto banale: la copertina esigeva ovviamente lo scarabocchio di un titolo. Cosa potevo scrivere per raccontare l'infanzia nel mondo? Per molto tempo sono rimasta ancorata a una frase: "Essere bambini. Niente di più semplice".
Sono cresciuta in una famiglia che mi ha abituato a pensare al bambino come a un essere umano da proteggere, da accudire, da educare. Perciò non ho mai trovato strano che un bambino giocasse, andasse a scuola, avesse i suoi piccoli impegni sportivi, condividesse con i compagni la lezione pomeridiana, così come le feste di compleanno o vacanze brevi o lunghe. Questo era ciò che pensavo dei bambini. Di tutti i bambini del mondo: che vivessero come vivevo io, che avessero tutto ciò che avevo io.
Cosa mi ha permesso di avere dei dubbi su quel possibile titolo? L'esperienza.
L'unica capace di cambiare il corso della vita, l'unica in grado di indurre a delle riflessioni. E' bastato uscire dalla sfera domestica, muoversi, viaggiare, incontrare tanti Altri, aprire gli occhi, porsi delle domande, cercare delle risposte perché quel titolo, sebbene ancora risuoni forte nella mia mente, non bastasse più.
Sento il bisogno di aggiungere qualcosa. Forse un segno di interpunzione finale che non sia un semplice punto fermo. Forse un punto esclamativo che interrompa la parola "semplice!", dia la sicurezza delle proprie convinzioni, oppure quello interrogativo che la apra verso scenari imprevedibili. Quest'ultimo, a dire il vero, tende a prevalere. E si impone nella misura in cui una domanda, anzi numerose domande, si presentano con maggior forza: essere un bambino a Kibera o a Anand Nagar, immensi slum di Nairobi e Calcutta è davvero così semplice? E' semplice la vita di un bambino che vive nella bidonville di San Paolo? E nel paese "Italia" tutti i bambini vivono l'infanzia come l'immaginario l'ha codificata, cioè svagata, serena, piena di lazzi e giochi? Chi sono i bambini che ai semafori chiedono l'elemosina? Qualcuno risponde "non sono italiani, sono rom" e anche tutti gli spacciatori, i pusher, quelli che rappresentano l'ultimo anello della catena-droga, anch'essi sono rom?
C'è qualcosa che non quadra, qui e altrove. Basta aprire gli occhi, basta voler aprire gli occhi sulla mente perché la realtà sia letta nella sua dimensione concreta, priva di artifizi, di filtri flou che conferiscono alle immagini un'aura di magica atmosfera.
Chiediamo aiuto ai numeri.
Chissà se nel grande libro dei Guinness dei primati compare, ad esempio, il nome di "Sierra Leone" visto che questo piccolo stato africano che si affaccia sull'Oceano Atlantico, continua a essere il primo paese nel mondo con il più alto tasso di mortalità infantile e materna. Ci sarà forse il Congo col suo primato nell'arruolare bambini al di sotto dei 15 anni d'età, o il Darfur con i suoi 2 milioni di bambini che sono tagliati fuori da qualsiasi assistenza perché vivono in aree rurali controllate dai ribelli o dal governo, in questa infinita guerra civile (dal 2003) che contrappone i Janjawid ai Baggara e ad altri gruppi etnici come i Fur? No. Questi numeri non interessano, sono emergenze, è vero. Ma dimenticate. Diamo un'occhiata a questo dato riportato da Unicef : 75 bambini al di sotto dei 5 anni muoiono ogni giorno in Darfur (regione del Sudan occidentale per la grande maggioranza confinante col Chad tanto per indicare la posizione geografica), per infezioni e malattie facilmente prevenibili. Una modesta calcolatrice ci permette di fare un paio di moltiplicazioni per scoprire che in un mese i bambini che muoiono, soltanto per questo motivo, sono 2250 e in un anno 27 375 (L'Istat, Istituto nazionale di Statitica, ci dice che in Val d'Aosta nel 2008 risiedevano 7119 bambini da 0 a 5 anni e la probabilità di morte per un bambino di 5 anni è di 0.14 per mille, percentuale lontanissima da quel 20% che riguarda la mortalità infantile negli slum di cui sopra. Qualcuno obietterà che il paragone è ridicolo se si pensa che il Darfur può contenere 151 Val d'Aosta e io non potrei dargli torto. Sicuramente inviterei il mio interlocutore a riflettere su un punto cruciale: non è forse indispensabile attivarsi perché tutti gli esseri umani, a prescindere dal luogo di nascita, abbiano gli stessi diritti?). Ma l'emergenza in Darfur non è solo questa: si possono dimenticare le violenze nei confronti delle donne e dei bambini che si consumano ogni giorno nei campi per gli sfollati?
Si possono dimenticare le migliaia di bambini vittime del traffico dei minori, vittime degli abusi fisici, affetti da HIV/AIDS, o i milioni di bambini orfani? Si può dimenticare che in Africa si muore ancora di fame, di infezioni legate alla scarsa igiene, di malattie che nei paesi occidentali si curano da decenni, si può dimenticare che nonostante gli obiettivi del millennio la stragrande maggioranza della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e tanto meno all'istruzione di base?
Come non nominare tutti quegli stati africani in cui le sanguinose guerre civili non solo lasciano sul campo migliaia di civili, morti o mutilati, ma la distruzione della civile società, la distruzione del sistema scolastico allontanando la popolazione giovane da qualsiasi forma di istruzione. Basti dire Eritrea, Angola, Sudan, Sierra Leone ecc.. per avere un quadro più o meno esaustivo delle drammatiche conseguenze dei conflitti. Basti citare il Sud Africa, l'Etiopia, il Malawi, il Mozambico e più in generale i paesi dell'Africa sub sahariana per impressionarsi delle cifre che denotano lo sterminio della popolazione infantile e giovanile a causa dell'Aids. Faranno impressione cifre come: 1 milione 400 mila bambini rimasti orfani nel solo Sud Africa a causa dell'infezione da HIV, 1 milione 200 mila in Uganda, i 650 mila dell'Etiopia (dati UNAIDS)?
Cosa pensare se non che l'infanzia per milioni di bambini non è l'eden. E' un inferno che consuma la mente e distrugge il corpo. Il mondo dei bambini è una ricca miniera d'oro: da lì si attinge forza lavoro genuina, redditizia, poco incline alla lamentela; una forza che, con orari massacranti, produce la ricchezza di industriali, broker del sesso, trafficanti di organi.
Vent'anni sono passati dalla promulgazione della Convenzione Internazionale dei Diritti dei Bambini, un tempo quasi impercettibile nella storia di una civiltà, di un paese. Ne siamo consapevoli, come siamo consapevoli che la strada per i diritti umani "per tutti" è ancora ardua e lunga. Ma ciò non deve diventare uno scudo che ostacoli la promozione dei fondamentali diritti per i bambini di tutto il mondo, non deve rallentare lo sforzo di tutte quelle persone che credono in questa mission. E' incredibile il fatto che oggi sono 193 gli Stati parte della Convenzione, ma non sono sufficienti quattro mani per elencare le emergenze dimenticate nei diversi paesi del mondo, che mettono a repentaglio la salute dei più deboli, primi fra tutti i bambini.
Ma se i governi sono lenti nell'adozione delle linee guida della Convenzione, ci sarà pure una ragione? E le domande si ripresentano numerose. Altra illusione si aggiunge, se si confida nel buon senso dei governi, nella loro capacità di "imporre" la cultura dei diritti, quando essi stessi sono tenuti sotto scacco da società per azioni il cui unico fine è il lucro. E' la gente comune la sola su cui si può contare per formare una rete a maglie sempre più strette che non permetta ai diritti di cadere nell'oblio.
Non è più un segreto ormai, i potenti sanno di essere stati smascherati. Non sanno, come non nessuno di noi sa, quando quella popolazione tenuta in stato di povertà e priva di istruzione perché sia più facilmente soggiogata dal potere, riprenderà il potere che le spetta. Continueranno forse gli affari d'oro delle multinazionali accecate dal profitto, ma il popolo tornerà a decidere il futuro della propria nazione. E i grandi dovranno fare i conti con la sua forza.
Tornando, comunque, ai bambini e allo scarabocchio del titolo a cui facevo cenno nell'introduzione all'articolo, a pensarci bene non credo necessario dover aggiungere qualcosa, tanto meno segni di interpunzione. Piuttosto mi sono convinta che sia necessario levare, contrarre, ridurre ai minimi termini per andare all'essenza stessa dell'argomento: Essere Bambini può bastare. Il resto è superfluo.(nda)


Divieto, anche parziale, di riproduzione del testo.
Articolo pubblicato sulla rivista AFRO, dall'Africa sull'Africa, n.6



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